“TERZA STORIA”

Giuseppe Bigliardi inizia a fotografare come tanti giovanissimi amatori della seconda metà del Novecento, scattando su pellicola, poi sviluppando e stampando per conto suo. Ad un certo punto  decide di essere fotografo anche per professione: si iscrive all’ Istituto Europeo di Design e dal1987 avvia collaborazioni importanti con aziende locali e internazionali. La formazione, il continuo aggiornamento, i tempi sempre più rapidi imposti dal mercato delle immagini, lo portano ad usare le tecnologie digitali, a comprendere e sfruttarne le possibilità, verso un’ immagine sempre più immateriale, proteiforme, staccata dalla fisicità delle cose.

Nel corso di questi anni Bigliardi ottiene riconoscimenti importanti (Art Director’s Club nel 1993, Media Stars, 2011), ma poi succede qualcosa in territori differenti da quello dell’ applicazione commerciale, forse la nostalgia della materia, del tempo lento di un’ immagine diversa.
In questa ricerca che prende rilievo negli ultimissimi anni sviluppa l’ interesse per il materiale di recupero, trovato, la cui grana dialoga con l’ immaterialità dell’ immagine digitale. Costruisce i supporti, spesso con trucioli intrecciati per trame che suggeriscono prospettive o griglie ortogonali, vi riporta la stampa fotografica, miscelando i materiali e riportando a galla la materia del supporto, fino a che l’ equilibrio tra illusione fotografica e evidenza della materia corrisponde all’ intenzione dell’ autore, o ne rivela un aspetto inatteso.

In queste opere la fotografia come immagine trapassa in fotografia come oggetto, propone una terza storia pensando la materia delle sue figure.

His research of the last few years is oriented towards recovered material, which communicates with the immateriality of digital images. He builds the supports, often with twisted shavings through weaves that suggest orthogonal prospects or grids, he mixes the materials with the photographic image, bringing to the surface the material of the support, until the balance between photographic illusion and evidence of the material corresponds to the author’s intention, or reveals an unexpected aspect of it.

In these works the photograph as image is experienced as a subject, proposing a third tale about the material of its figures.

PAOLO BARBARO

“TRAME DI VISSUTI”

Da subito, senza ipocrisie,  la ricerca espressiva di Biglio ci appare  impegnata  in una intrigante sperimentazione tecnica  che percorre un crinale di frontiera tra fotografia e pittura tra linguaggio figurativo e informale.
La “ pittura fotografica “ di Biglio si fa strada attraverso  nervose alternanze, intermittenze, singulti  e  salti tra impressioni ed espressioni.
I suoi “quadri” prendono corpo su  strane superfici materiche a base di frange di lamine di legno di recupero intrecciate in  trame.
E’ questa base materica  di origine naturale la significante partenza di Biglio, la premessa progettuale, il “buon letto” che, come nell’antica pittura su tavola,  deve assecondare  i suoi  paesaggi.  Con grande controllo progettuale,  su questo supporto di matrice artigianale,  Biglio trasferisce  i suoi scatti  sperimentando  una  raffinata quanto tecnologica  rielaborazione dell’immagine.   Attraverso  un processo di mettere e levare, di abrasioni e cancellazioni,  le sue  fotografie si smaterializzano, implodono e si staccano  dalla fisicità delle cose che rappresentano per  intessere  un sottile quanto inaspettato dialogo tra materia e immagine di realtà della fotografia.
Rielaborazioni non soltanto  formali le sue:  la rete di superficie è metafora del pensare, del connettere,  e la gestione espressiva  della stampa diretta ha  come  risultato  interpretazioni   di accadimenti per nuove visioni del sentire .  Nei lavori di Biglio prendono nuove consistenze di realtà astratte sequenze di viaggi e di vissuti. L’immobilità  dei ricordi e delle cose della  fotografia   è dissuasa al  ritmo  di andate e ritorni della stampante e  da interventi espressivi di abrasioni e cancellazioni.  Opere aperte che non vogliono  affermare  significati  chiusi e univoci ma sempre  sconfinanti  oltre i limiti  topografici del paesaggio.   Nella dinamica rappresentazione delle categorie spazio/tempo  i  paesaggi urbani e rurali di Biglio fanno emergere  consapevolezze neofuturiste e neocubiste.  Sono lampi di natura e artificio, trappole e  rifugi per eleganti tracce di presenze e  passaggi dell’uomo:  poetici  brani di mutevolezza del tutto.
Esplorazioni  paesaggistiche del mondo inteso come ambiente  in cui la realtà reinventata gioca con noi che guardiamo una partita dall’esito incerto:  si svelerà solo a chi saprà decifrarla e assaporarla nelle sue trame  di vissuti.

Immediately, without hypocrisy, Biglio’s expressive research appears engaged in an intriguing technical experimentation that ventures a boundary line between photography and painting, between figurative and informal language. Biglio’s “photographic painting” takes shape through trenchant alternations, intermittences, hiccups and leaps between impressions and expressions. The material of natural origin that Biglio uses is actually his meaningful point of departure, the premise for his project, the “good bed” that, like in panel painting, has to support its scenery. With great project control, Biglio transfers his shots on this handcrafted support experimenting a refined as well as technological reworking of the image. Through a process of adding and removing, abrading and deleting, his photographs are dematerialized, imploding and breaking off from the physicality of the things that they represent to weave a subtle and unexpected dialogue between matter and image of reality of the photograph.

ELES IOTTI

“RIGENERAZIONE”

Un monolite con la scritta “Genesi” in molteplice lingue raschiato, aggredito e corroso da calori antichi che hanno deformato le lettere ed il senso: quasi una dimenticanza, un segnale che ormai non indica più nessuna direzione. Eppure un Eden esiste, in un angolo dell’Indonesia, in un corso d’acqua animato di ragazzi, forse di una razza diversa da noi che “rimaniamo a terra”, un paradiso che potrebbe sparire appena quel ragazzino che ci guarda prenderà coscienza che i nostri occhi l’hanno scoperto. Così forme vegetali, fotografie che dovrebbero essere il fissarsi del ricordo, l’eternità che diamo al nostro presente, diventano la base di racconti di inquietudine, di assonanze e rimandi che spesso si innestano sul nostro profondo, nell’inconscio. C’è infatti in Bigliardi una profonda, autentica necessità di rivolgersi all’inconscio, di far affiorare immagini che lievitano informi sotto l’occhio lucido di colui che è partito come fotografo, ma al quale l’immagine fissa non è mai del tutto bastata, e l’artista che rimane comunque legato alla realtà, alla figura, provenienti da un lontano ed intimo sentire, da profondità interiori inespresse, alle quali un lungo, lento ed elaborato processo cerca di dar spazio e forma. C’è un aspetto immediato di sorpresa e talora di gioco nelle sue opere, che rappresenta come una forma di pudore, un modo per nascondersi, ancora, se fosse possibile, ma lieve e per nulla dissacrante. Poi le sue forme vegetali ed animali prendono vita nella metamorfosi continua della materia, nella ricerca del colore che rimanda ad altro da quello ch’era in natura, nella manipolazione che modifica, rintraccia, gonfia, ingravida le forme o le penetra fino ad arrivare alla corsa di microrganismi colti in un irrequieto ed instancabile movimento sotto vitro. La poesia delle opere di Bigliardi nasce da questa sorpresa dell’occhio e da questo inventarsi, da demiurgo, una vita altra.

There is indeed in Bigliardi a deep, authentic need to turn to the unconscious, to bring out images that rise shapeless under the clear eye of the man who started as a photographer, but to whom the still image was never quite enough, and the artist who remains tied to reality, to the figure, originating from a distant and intimate feeling, from unspoken inner depths, to which a long, slow and elaborate process seeks to give space and shape. There is an immediate aspect of surprise and sometimes entertainment in his works, which is a form of modesty and, if it were possible, a mild and not at all irreverent way to hide. Then his plant and animal forms come to life in continuous metamorphosis of matter, in the search of colour that recalls something other than that which was in nature, in the manipulation that modifies, tracks, inflates, impregnates shapes or penetrates them up to the race of microorganisms caught in a restless and tireless movement under vitro. The poetry of Bigliardi’s works originates from this surprise of the eye and from his inventing, as a demiurge, of another life.

MARZIO DALL’ACQUA

“ARTISTA EN VOJAGE”

La tematica dell’artista viaggiatore ha prodotto nel mondo dell’arte capolavori indimenticabili, dalle ottocentesche vedute romantiche alle prospettive en plein air dell’impressionismo, al raffinato cosmopolitismo di Filippo de Pisis, per arrivare alla magia sospesa delle opere di Edward Hopper.

Artista anch’esso cosmopolita, affascinato in particolare dalle città ammericane brulicanti di vita e colori, è Giuseppe Bigliardi, “Biglio”, fotografo, classe 1961, con studio a Parma.

Biglio viene influenzato, forse inconsciamente, dal clima culturale dell’Arte povera nell’approccio vitalistico verso materiali di scarto, riciclati, che hanno in sè una forte potenzialità visiva e comunicativa. Il suo lavoro diviene simile a quello dello scultore che lavora nel togliere la materia per liberare l’immagine che ne è prigioniera, le sue fotografie diventano immagini da “toccare”, da sentire fisicamente, pur mantenedo un perfetto equilibrio tra illusione fotografica ed evidenza della materia. I soggetti preferiti sono le vedute delle città e dei paesi che ha visitato: New York gremita di luci e di persone, il Messico infuocato dai toni caldi e arancioni, la frontiera del West, la caotica Lisbona nella rievocazione di voci, rumori, odori.

Non più un semplice occhio il suo, ma una spugna di sensazioni, trasmesse con immediatezza,  le immagini dinamiche, in movimento, fanno pensare ad una lontana matrice futurista nel rendere in maniera simultanea la strada urbana, le piazze gremite e brulicanti di vita, in una vertiginosa velocità di assorbimento e di espressione.

I soggetti delle sue opere non si scompongono più secondo piani prospettici tradizionali, esplodono letteralmente in getti e striscie luminose. L’opera di Biglio, facendo aderire alla pratica pittorica la resa fotografica, si pone sulle scie delle sperimentazioni della Pop Art, che illustrava con tecniche fotografiche l’ambiente urbano contemporaneo, per arrivare a Gerhard Ritcher, partito pure lui da immagini fotografiche e televisive, però in bianco e nero. Tuttavia questi precedenti artistici ci consegnavano un’immagine fredda, congelante, senza valore soggettivo, al contrario Biglio carica di emozioni e fisicità le sue opere coinvolgendoci in un viaggio interiore non solo proiettato all’esterno. Sono notazioni di un diario lirico di contenuto ora esaltante e gioioso, ora meditabondo e forse triste, immagini di un passato prossimo proiettate nel futuro.

AURORA MARZI